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The Wall, Roger Waters tra Orwell e la solitudine

the-wall-tour-2013-3Roger Waters ha ricostruito il muro. Il leader carismatico dei Pink Floyd, attraverso il suo tour “The Wall”, con cui ha fatto praticamente il giro del mondo, non ha voluto tradire il suo eterno tormento, quello del rapporto tra la sua musica e il mondo esterno, del quale, paradossalmente, la sua produzione musicale non ha mai potuto fare a meno.

 

Tra l’ammirazione per il suo mito e l’inevitabile polemica sulle sue scelte stilistiche, Waters ha rielaborato la sua ascesi musicale. “Corrotta” dallo star system? Può darsi, ma sarebbe inevitabile. Contaminata dalla spettacolarizzazione di una comunicazione di massa volta a una musica di contenuto forzatamente politico? Sarebbe inevitabile pure quello, perché la musica di Roger Waters si è sempre destinata all’esplorazione di un universo di sensibilità e di percezioni che sono il fermento cupo e misterioso del secolo che dà il nome alle angosce della rockstar. Qui vi sono ovviamente comprese la malizia e la malafede rivolte all’esibizionistico fraintendimento di chi consegna un’opera d’arte a un pubblico così vasto, pure attraverso modalità contaminabili.

 

Cosa ci spetta, semmai ci spetti? Limitiamoci al “veduto”, perché il “non veduto”, come ha percepito e ha scritto Isaac Singer, è delle azioni diaboliche.

Lo spettacolo The Wall rappresenta tutto l’album omonimo della band londinese, inciso nel 1979 proprio sotto la guida di Waters, divenuto la mente dei Pink Floyd dopo la dolorosa e prematura uscita di Syd Barret.

Il concept album dei Pink Floyd descrive lo stato d’animo di Pink, una rockstar che poco a poco inizia a costruirsi intorno un muro mentale col quale isolarsi dalla morte del padre in guerra, dalla madre iperprotettiva, dagli insegnamenti scolastici e dalle delusioni amorose per mano di una moglie traditrice.

 

Ognuna di queste ragioni è la metafora primaria di un progressivo allargamento verso i temi reali dell’album e dello spettacolo di Waters.

La condanna della guerra, del “terrorismo di stato”, la resistenza al dominio delle multinazionali e dei gruppi di potere, fino all’accusa globale contro i simboli politici e finanziari.

La “Big Mother”, correzione volontaria del Big Brother, è la tutela funzionale e dannosa che educa l’uomo a non conoscere la sua realtà, a non conoscersi, a privarsi dell’opportunità di esplorare gli aspetti vietati e interdetti della società, forse perché custodi di quelle chiavi di lettura che concederebbero all’individuo la libertà, per sottrarsi al controllo di massa che si realizza attraverso le intimidazioni e gli indottrinamenti dei falsi maestri, che nell’album, come nel film, come nello spettacolo del tour, cala dall’alto nelle vesti del teacher, il pupazzo gigante che irreggimenta i suoi allievi per volontà di un ordine superiore. the-wall-tour-2013-2

 

Roger Waters, che, come spesso emerge da The Wall, non si sottrae dal tema del doppio, sveste i panni del dittatore sanguinario, per poi recuperarli alla fine, calandosi dentro le sofferenze sentimentali di Pink, tradito e segnato dalla solitudine di un amore perduto.

È il segno della condanna, quella che rinchiude Pink in regressivo ritorno all’infanzia, sottoposta alle incursioni maldestre e spietate del mostro che non risparmia nessuna creatura alle sue imposizioni di custode sanguinario dell’ordine superiore.

 

Lo show The Wall non risparmia l’anatema contro il capitalismo guerrafondaio, contro le sue finzioni, i suoi ipocriti artifici. Lo spettacolo non risparmia la chiesa cattolica, gli uomini di potere e ogni simbolo del capitalismo, sotto un cielo infestato da totalitarismi che non distinguono più un ordine preferenziale alle ideologie che per decenni hanno ingannato l’umanità.

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Nella prima parte Roger Waters dedica apertamente il suo concept alle vittime dell’attentato del 7 luglio 2005, nella metropolitana di Londra, dedicando l’intero concerto a Charles De Menezes, il giovane brasiliano ucciso dai poliziotti inglesi perché scambiato per terrorista.

È l’inizio del lungo requiem che Waters riserva alle vittime delle guerre, del terrorismo, del dominio di massa, delle invasioni e delle violazioni.

 

The Wall, come prevedibile, diventa manifesto di quella contestazione di massa che soffre del suo status di eterna prigioniera. Ed è qui che emerge l’aspetto più significativo dell’opera intera.

Roger Waters, attraverso la prigionia morale e spirituale di un personaggio, che è anche la sua, dimostra lo stato d’imbarazzo e di sofferenza di un’universalità che comprende, o almeno prova a farlo, le deviazioni del proprio tempo, ma non conosce la via di fuga da quel muro che la isola da se stessa e da ogni parte di sé.

 

La confusione delle parti, di vittima e di carnefice, di colpevole e di innocente, di attore e di spettatore, è il “doppio” che Waters rappresenta sul palco, nei panni del dittatore e del contestatore, ma che diffonde alle responsabilità del suo stesso pubblico, ben oltre i limiti del luogo dove lo show consuma il suo tempo e le sue azioni spettacolari. DCIM100SPORT

 

L’Orwell di Waters concentra il tormento individuale e quello collettivo, attraverso una filiazione perpetua e priva di speranze. Nel “Muro” di Waters non esiste il futuro, e il passato percorso dall’inizio dell’opera svanisce nella consapevolezza di un presente che ripresenterà presto le stesse angoscianti inquietudini. La caduta del muro non apre alla verità e alla conoscenza, ma soltanto all’illusoria liberazione da una prigionia che conduce a un sentiero verso un nuovo deserto.

Se così non fosse, il percorso di quella che molti hanno riconosciuto come la più grande rock band della storia del genere, non avrebbe avuto senso.

Al di là dei privilegi di facile e superficiale individuazione, in ognuno di noi si edifica un avamposto della solitudine. Qualcuno lo ignora, qualcun altro lo abita. Diversamente, qualcuno lo distrugge. C’è chi, invece, lo apre all’ingresso degli altri avamposti.

 

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka